Al Cairo Intl. di quest’anno. Film Festival, i registi egiziani arrivano non solo per presentare in anteprima i loro film, ma per rivendicare il futuro cinematografico del paese. Un tempo cuore pulsante del cinema arabo, l’industria egiziana non è più definita dal suo passato commerciale o dalla nostalgica età dell’oro. Invece, viene reimmaginato da una generazione che vede il cinema non come un revival, ma come una rivendicazione. Attraverso il programma del festival e il suo Cairo Film Connection piattaforma di presentazione, i registi stanno creando un cinema che è allo stesso tempo personale, politico e audace.
“Penso che il mio lavoro sia un mix di continuazione e reinvenzione”, afferma la documentarista Yomna Khattab, che porta il suo progetto profondamente personale “I Have Other Friends” a Cairo Film Connection. “Mi ispiro ai grandi: Chahine, Khan, Khairy Beshara. Questa eredità mi fa sentire responsabile non di imitare, ma di creare narrazioni e stili visivi fedeli alla mia generazione.”

“Un altro spettacolo”
Per gentile concessione di Mai Saad e Ahmed Al Danaf
Per la regista Mayye Zayed, il cui lungometraggio in fase di sviluppo “Rainbows Don’t Last Long” è presentato nella competizione di pitching, quel passaggio generazionale significa anche riscrivere chi può essere visto. “Non ci sono state abbastanza storie guidate da donne nel cinema egiziano”, dice. “Ecco perché volevo raccontare storie delle donne che conosco, film indipendenti che ancora raggiungono il pubblico egiziano e hanno un impatto reale.”
Questo spirito permea il programma egiziano di quest’anno: dalla satira impassibile di Yasser Shafiey “Complaint No. 713317”, al documentario di Mai Saad e Ahmed Al Danaf girato a Gaza, “One More Show”, e il meditativo “All That the Wind Can Carry” di Maged Nader. Alcuni proiettano in concorso, altri cercano partner, ma tutti condividono la silenziosa convinzione che il rinnovamento del cinema egiziano inizi dal personale.
Per Abanoub Nabil, il cui cortometraggio “The Named” viene presentato in concorso, CIFF è più di una piattaforma, è un ritorno a casa. “Durante i miei giorni da studente, saltavamo le lezioni per partecipare alle proiezioni e alle masterclass del CIFF”, ricorda. “Quel festival è stato il luogo in cui ho scoperto per la prima volta il cinema mondiale. Era la nostra vera classe. Ora essere lì con il mio film è come tornare a casa.”
Attraverso fiction, documentari e forme ibride, questi registi stanno costruendo un cinema che parla prima di tutto a se stessi e, così facendo, a tutti gli altri.

“Ho altri amici”
Per gentile concessione di Yomna Khattab
Concorso internazionale di lungometraggi
“Un altro spettacolo” (2025)
(Mai Saad, Ahmed Al Danaf, Egitto, Palestina. Prodotto da Baho Bakhsh e Safei Eldin Mahmoud)
Girato sotto i bombardamenti a Gaza, “One More Show” segue il Free Gaza Circus mentre si esibisce per i bambini sfollati in mezzo alla devastazione. Co-diretto dal regista egiziano Mai Saad e dal direttore della fotografia di Gaza Ahmed Al Danaf, il documentario rappresenta sia una testimonianza che un atto di sfida.
“Abbiamo creato questo film sotto continui bombardamenti e sotto la costante minaccia di un genocidio”, afferma Al Danaf. La sua speranza è che gli spettatori vedano “quanto profondamente amiamo la vita e come non desideriamo la morte”. Il risultato è un ritratto inquietante di resilienza e resistenza, a ricordare che anche in guerra l’arte rimane un atto di sopravvivenza.
Concorso Orizzonti del cinema arabo
“Reclamo n. 713317” (2025)
(Yasser Shafiey, Egitto. Prodotto da Red Star, Misr Intl. Films, Film Squire, Filmology Production)
Un debutto cupamente comico ma silenziosamente devastante, “Complaint No. 713317” trasforma un frigorifero rotto in una metafora di una società bloccata in modalità riparazione. Con Mahmoud Hemida e Sherine protagonisti, lo studio intimo del personaggio di Shafiey cattura la discesa di una coppia di pensionati nell’assurdità burocratica. Dinamico nel suo minimalismo, il film esamina “Al Qahr”, un senso intraducibile di oppressione e ingiustizia quotidiana, con precisione impassibile e moderazione emotiva, segnando una nuova sorprendente voce nel cinema sociale egiziano. Shafeiy riflette: “Questa non è la storia di un frigorifero. Riguarda ciò con cui abbiamo imparato a convivere, o senza”.
Concorso Cortometraggi
“L’Innominato”
(Abanoub Nabil, Egitto. Prodotto da Baho Bakhsh, Safei Eldin, Mark Lotfy)
Ambientato ad Alessandria, “L’Innominato” segue Jannah, la giovane figlia di una danzatrice del ventre, mentre vaga da sola per le strade della città, portando con sé un barattolo che contiene una parte del corpo di sua madre. Ciò che inizia come una commissione disperata diventa un viaggio inquietante attraverso la paura, l’amore e la sopravvivenza. Il regista e sceneggiatore Abanoub Nabil attinge alla memoria infantile e alla perdita personale per esplorare come la malattia rimodella l’identità e come i bambini ereditano silenziosamente il dolore dei genitori. Dedicato a “ogni donna, madre e figlia che vive nell’instabilità”, il realismo e l’empatia del film fanno di Nabil una nuova voce audace nel cinema egiziano.
Cairo Film Connection
“Gli arcobaleni non durano a lungo” (in fase di sviluppo, fiction)
(Mayye Zayed, Cléo Media, Egitto)
Dopo il suo acclamato documentario “Lift Like a Girl”, Mayye Zayed ritorna con “Rainbows Don’t Last Long”, un tenero racconto di viaggio di famiglia su una bambina di otto anni che perde la vista. Mentre Salma viaggia attraverso l’Egitto con i suoi genitori separati, da Alessandria al Mar Rosso, corre per vedere i colori del mondo prima che svaniscano. Sviluppato attraverso programmi tra cui Global Media Makers di Film Independent e Nipkow Residency, il progetto trasforma i paesaggi dell’Egitto in una mappa emotiva. Zayed descrive l’Egitto come “il quarto personaggio del film… non raffinato o esotico, ma strutturato e autentico”.
“Ho altri amici” (in sviluppo-saggistica)
(Yomna Khattab, Egitto)
In “I Have Other Friends”, la documentarista Yomna Khattab gira la telecamera verso l’interno, intraprendendo un’esplorazione incrollabile dell’amicizia femminile, dell’età adulta e del passare del tempo. Unendo diario, corrispondenza e confessione, il progetto rivisita le relazioni della regista con cinque amici intimi mentre si avvicina ai 40 anni. “È una storia di formazione che accade più tardi nella vita”, dice Khattab. Poetico e personale, il film continua la lunga tradizione egiziana di saggistica intima, reinventata per una generazione che ridefinisce la connessione e la femminilità.
“Tutto ciò che il vento può portare” (Post-produzione)
(Maged Nader, Egitto, Qatar. Prodotto da Maged Nader e Tamer El Said)
Ispirato dai ricordi della demenza di sua nonna, “All That the Wind Can Carry” di Maged Nader offusca il confine tra memoria, sogno e perdita. Quando la mente sbiadita di Susana inizia a fondere passato e presente in uno solo, il film diventa una meditazione sul tempo e sulle tracce che le storie familiari lasciano dietro di sé. Coprodotto con Tamer El Said, il progetto fonde intimità e sperimentazione visiva, esplorando come la storia personale possa plasmare e distorcere l’identità.
